Eccoci qui cari soci dell’Associazione Genitori e cari internetnauti con l’intervista di marzo della nostra associazione! Stavolta parleremo di un tema caldo, purtroppo al centro della cronaca degli ultimi giorni in varie parti d’Italia: il bullismo.

Con noi oggi ci sarà una giovane psicologa della nostra città, che pazientemente si è prestata a rispondere alle domande da noi raccolte tra le mamme del territorio.

 

Presentati in poche parole

Sono Chiara Sbardella, ho 29 anni, sono una psicologa, specializzanda in psicanalisi. Lavoro da sempre con i bambini ed i ragazzi come aiuto compiti: è una cosa che ho sempre fatto e che mi piace portare avanti tuttora. Principalmente, però, sono responsabile di una struttura sanitaria privata di Palestrina.

Che cosa s’intende per bullismo e per cyberbullismo?

La letteratura ci dice, per dare una definizione semplice e chiara a tutti, che il bullismo è un fenomeno sociale in cui c’è un bullo, una vittima od un soggetto considerato più debole, un pubblico ed una violenza gratuita che viene ripetuta e perpetrata nel tempo. Ha bisogno quindi di queste caratteristiche particolari che differenziano questo fenomeno da altri tipi di violenza: la ripetizione nel tempo e la presenza di spettatori o aiutanti che sostengono e appoggiano il bullo. Per cyberbullismo, invece, intendiamo lo stesso fenomeno violento, ma realizzato virtualmente attraverso i mass media. Parliamo quindi soprattutto di violenza mentale e non fisica, anche se poi la dinamica in cui si realizza è la stessa. Si manifesta sotto forma virtuale con foto e video della vittima che in tal modo viene bullizzata in larga scala con un numero enorme di spettatori in questo caso.

Non si può, anche se umanamente tendiamo a pensarlo, che il cyberbullismo sia peggiore o più pericoloso del bullismo, poiché ogni fatto in sé deve essere analizzato nella sua dinamica come un singolo fatto a se stante, altrimenti si correrebbe il rischio di generalizzare. L’impatto violento nei confronti della vittima è comunque il medesimo.

Come si può spiegare ad un bambino che cos’è il bullismo ed il pericolo ad esso legato? Anche se ci rendiamo conto che oggi i bambini sanno già, anche solo in linea di massima, di cosa si tratta, vuoi attraverso la tv, vuoi attraverso programmi specifici attivi già a scuola.

Infatti a scuola vengono già attivati dei programmi di alfabetizzazione emotiva, dei percorsi trasversali, durante i quali sono toccate tutte queste problematiche dal personale docente. D’altra parte, contrariamente al senso comune, non esiste un’età giusta per spiegare a nostro figlio il fenomeno del bullismo. Già alla materna il bambino è in grado di capire i conflitti che possono nascere con i suoi coetanei. Molto, certo, si gioca sul linguaggio usato dal genitore che deve essere il più possibile semplice, poiché magari il bambino della materna non conosce bene il significato di alcuni vocaboli, ma comprende sicuramente bene i concetti, riesce a figurarseli mentalmente dunque.

Si nasce vittima o ci si diventa? Su quali emozioni fa leva il bullo? Vergogna, isolamento, senso di esclusione?

Non si nasce assolutamente vittima ed è difficile stilare un identikit della vittima, poiché in effetti non esiste. Sempre la letteratura ci dice che la vittima generalmente è un soggetto caratterizzato da scarsa autostima, quindi con una concezione di sé alquanto bassa, ma in realtà dire che il bambino vittima è solo il bambino con scarsa autostima od un soggetto timido od introverso è riduttivo. Principalmente, semmai, si tratta di un fatto relazionale, ossia di come si vanno a relazionare empaticamente due soggetti e da quello potrebbe nascere un rapporto di bullismo. Bisogna però sempre ricordare che vi è sempre una motivazione, il fenomeno del bullismo non avviene a caso.

Il bullo è solo carnefice o anche vittima a sua volta? Alla base del problema c’è una sbagliata educazione da parte della famiglia? L’importanza del branco? Il bullismo è solo maschile o anche femminile?

Sono convinta che bisogna considerare questo fenomeno in maniera differente, valutando il bullo non solo come un soggetto da punire. Il fenomeno del bullismo, laddove accade, è un fenomeno comunicativo che ci indica in maniera critica i disagi che stanno vivendo i due soggetti. Lo stesso bullo sta lanciando un messaggio, quando si comporta come tale. Il conflitto tra i due soggetti è importante, a livello psicologico è una risorsa per capire che cos’è che non va, cosa spinge il bambino o il ragazzo ad essere bullo, qual è il problema di fondo? Considerate che l’aggressività, in queste modalità di relazione, viene adottata quando manca la comunicazione o addirittura la comprensione di quello che il bambino o il ragazzo vorrebbe comunicare. Potrebbe essere un malessere all’interno della scuola, un problema con i ragazzino con il quale si comporta come bullo o ancora un problema di relazione con tutta la classe che magari non viene considerato e l’unico modo che trova è quello di emergere negativamente. Quello che dico è che chiaramente questi comportamenti non solo non vanno incentivati, ma vanno anche analizzati quando succedono, perché testimoniano una problematica. Quindi qui la funzione dell’insegnante è centrale, perché certi fenomeni si manifestano soprattutto all’interno della scuola; accadono anche fuori, ma lì non li vede nessuno e quindi risulta difficile intervenire. Non è scontato che il soggetto che si comporta come bullo venga da una situazione familiare difficile o da un contesto di scarsa comunicazione. In realtà la situazione, anche qui, va esaminata al momento, perché le emozioni che scaturiscono sono talmente varie e complesse che diventa impossibile incasellarle. Si tratta di un qui e ora. Nel momento in cui si manifesta un fenomeno di bullismo la famiglia e le insegnanti devono agire da rete e cominciare a parlare con entrambi i soggetti di quanto è successo e di quanto si sta realizzando. Parlare del problema è comunque un ottimo inizio. E’ da tener presente sempre però che la famiglia è fondamentale, perché i figli vedono i genitori come modelli comportamentali. Chiaro che in una famiglia in cui non si parla, il bambino ha sicuramente delle difficoltà ad esternare. Il branco è composto dai complici del bullo, quindi una serie di amichetti più stretti che circondano e supportano il bullo, anche se loro attivamente non fanno nulla, perché è sempre il bullo ad essere il braccio e la mente della questione. E’ da considerare che spesso questi ragazzini che compongono il cosiddetto branco hanno anche paura di mettersi contro il bullo, paura di finire nella situazione opposta. Si, il fenomeno del bullismo è prettamente maschile anche se non è da escludere che avvenga tra ragazze. Considerando infatti che il bullismo è anche violenza psicologica, è impossibile escludere che non avvenga anche nelle dinamiche di amicizia femminili. Magari tende ad emergere meno, proprio perché è meno visibile, ma sicuramente esiste. Ricordiamoci che al di là del fenomeno del bullismo strutturato come abbiamo detto prima, non dobbiamo commettere l’errore di non considerare quelle situazioni che non rientrano nel bullismo, ossia quegli atti di violenza, magari sporadici, che però accadono e che lasciano comunque delle conseguenze e sui quali bisogna comunque necessariamente intervenire. Laddove il genitore percepisce che c’è un problema, sicuramente un problema esiste, perché vi è un vero cambiamento nelle abitudini comportamentali del bambino o del ragazzo.

Quando ci troviamo davanti ad un problema del genere cosa dobbiamo assolutamente evitare di fare?

Non esiste una lista delle cose da evitare, anche perché certi comportamenti vanno bene per alcuni soggetti e male per altri. Sicuramente non bisogna solo limitarsi alle punizioni e sicuramente non bisogna evitare l’argomento, ossia evitare di parlarne.Necessaria è una certa competenza da parte dei genitori che devono interessarsi attivamente alla vita scolastica e relazionale dei propri figli. Fondamentale anche, come abbiamo già detto, è il ruolo della scuola che è pronta a capire e ad intervenire, anche perché da tempo si è posta la domanda su questi fenomeni che purtroppo esistono.

Detto questo non sarebbe opportuno avere un sostegno psicologico ai ragazzi e alle famiglie all’interno delle scuole?

Si, sarebbe opportuno, ma il Ministero della Pubblica Istruzione non lo prevede purtroppo. Ci sono alcune scuole che magari prendono dei contatti con delle cooperative, ma privatamente. Da questi contatti potrebbero quindi nascere delle collaborazioni per un periodo determinato di tempo, ma una figura professionale assunta all’interno della scuola ancora non esiste. Io vedo estremamente utile avere uno sportello all’interno della scuola presso il quale i genitori od i ragazzi potrebbero rivolgersi come sostegno.

A presto con la prossima intervista!

Irene Pezzi e Sandra Mazzenga, Associazione Genitori, Cave.

Illustrazioni di Sandra Mazzenga.

 

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One Reply to “Bullismo: che fare?”

  1. E’ da molti anni ormai che si parla di bullismo. Si cerca sempre di fare qualcosa per arginare questo fenomeno molto diffuso anche nelle nostre scuole. La sensazione, però, è che tutto quello che si sta facendo non è abbastanza. Infatti il fenomeno bullismo anzichè diminuire, sembra aumentare sempre di più restando presente nelle scuole e anche in altri contesti. Molte persone affermano che, l’Italia avendo molti problemi in questo momento storico, queste difficoltà si riflettono sui comportamenti devianti dei giovani. Io non penso che sia solo questo. L’assoluta mancanza di valori di riferimento (valori che ci inculcavano i nostri genitori), una televisione sempre più povera di contenuti e sempre più ricca di immagini che inneggiano ad un modo di vivere falso e artefatto fanno il resto del danno.

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